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Presentazione del “Il falsario italiano di Schindler”. I segreti dell’ultimo archivio nazista dello scrittore giornalista Marco Ansaldo

Marco Ansaldo, scrittore, vaticanista, inviato speciale di La Repubblica, dialogherà con Roland Fagel e Marino Magliani

Vaticanista, inviato speciale di La Repubblica, collaboratore con Limes e Rai Radio3, docente di giornalismo estero all’università Luiss di
Roma, e fondatore con Yasemin Taskin del forum di dialogo Italia-Turchia. Tra i suoi libri: Chi ha perso la Turchia – Viaggio al termine dell’Europa fra nuovi Lupi grigi e scrittori sotto scorta (Einaudi 2011). Il suo libro più recente è Uccidete il Papa – La verità dietro l’attentato a Giovanni Paolo II (Rizzoli 2011) scritto in collaborazione con Yasemin Taskin.

Grande interesse in Italia ha suscitato anche il suo Il falsario di Schndler, i segreti dell’ultimo archivio nazista (Rizzoli). Di cui ci parlerà. Si tratta dei Ventisei chilometri di scaffali, oltre trenta milioni di fascicoli, mappe, disegni, grafici, quaderni, liste, effetti personali, fotografie: le stanze segrete dell’ex caserma delle SS di Bad Arolsen, che custodiscono l’archivio definitivo dell’Olocausto, il registro più completo dell’ossessione nazista di documentare e catalogare ogni singolo aspetto dello sterminio. Un inferno di carta.

Perché delle loro vittime gli aguzzini annotavano tutto, in bella calligrafia e su appositi moduli: i particolari agghiaccianti delle loro reazioni agli esperimenti scientifici e alle ispezioni, le inclinazioni sessuali, i comportamenti durante gli interrogatori e le torture, la composizione del rancio, i trasferimenti, gli orari dei decessi fino nel dettaglio dei minuti. Solo nel 2007, a più di sessant’anni dalla fine della guerra, e dopo un estenuante braccio di ferro diplomatico tra gli undici Paesi firmatari di un accordo sull’archivio, la Germania ha finalmente deciso di togliere i sigilli e di aprirlo al pubblico. Marco Ansaldo è il primo italiano a essersi addentrato in questo labirinto di fogli e storie. Quelle ignote degli internati illustri — Anna Frank, Primo Levi, i Finzi-Contini, Mike Bongiorno diciannovenne in fuga verso l’America — e quelle travagliate dei molti anonimi dimenticati. Come il tipografo Schulim Vogelmann, ebreo fiorentino di origini polacche, l’unico italiano salvato da Schindler, che imparò il tedesco a costo di preziosi tozzi di pane e divenne falsario per conto del Reich. O gli angeli della resistenza di Buchenwald, i giovani detenuti che si batterono con tutte le forze per salvare i bambini del campo dalla eportazione a mete terminali come Auschwitz. Vite spezzate, famiglie distrutte, gesti, vicende e destini che trasformano questo libro in un inaspettato romanzo corale sulla forza dell’uomo e la sua costante ricerca della salvezza.

 

Corriere della Sera, 5 dicembre 2012

I dossier dall’inferno Buchenwald

L’ultima stazione prima del buio

Corrado Stajano

Il miracolo Vogelmann, l’unico italiano salvato da Schindler

Il Totenbuch, il registro dei morti del lager di Buchenwald, agghiaccia la pelle anche a vederlo solo in fotografia, con la sua lugubre copertina nera. Contiene, annotati con ossessiva minuzia, i nomi, le date, i luoghi di origine, l’ora e il minuto della morte dei deportati. La loro vita è maniacalmente classificata: i comportamenti durante gli interrogatori e nelle baracche, le malattie, le frustate, persino il numero dei pidocchi trovati nell’ultima ispezione corporale.

Marco Ansaldo, autore di un terribile libro, Il falsario italiano di Schindler, uscito da Rizzoli, ne ha potuto vedere molti di Totenbuch, che raccolgono i nomi delle vittime della persecuzione nazista. Giornalista di «Repubblica», è stato tra i primi al mondo a entrare nell’archivio di Bad Arolsen, in Assia, nella Germania centrale, aperto agli studiosi, dopo infinite tergiversazioni e patteggiamenti,
soltanto nel 2007. Ansaldo ha visto e rivisto milioni di documenti contenuti nei 26 chilometri di schedari d’acciaio dell’archivio che raccontano con inimmaginabile precisione quel che accadde agli ebrei, ai politici, ai militari, agli omosessuali, agli zingari catturati dai nazisti. Non solo a Buchenwald, ma in tutti i lager sperduti nelle nazioni sotto il dominio del Terzo Reich, ad Auschwitz, a Bergen-Belsen, a Dachau, a Flossenbürg, a Mauthausen e altrove.

L’autore ha studiato per anni faldoni, fascicoli, mappe, disegni, schede, quaderni. «Un inferno di carta», ha scritto. Ha visto anche fotografie, microfilm e gli oggetti più diversi che appartennero ai prigionieri. Nonostante la bibliografia sull’inferno nazista dopo tanti decenni sia enorme, questo è un libro impressionante. Aggiunge infatti a quel che si sa altre informazioni dolenti e senza possibilità di smentita sui Muselmann, i prigionieri senza speranza della follia ideologica di Hitler, sui loro destini annebbiati e perduti.

Non molti sui giornali hanno scritto di questo libro. Si fa di tutto per dimenticare quel che allora accadde anche perché fa male al cuore?

Il libro di Ansaldo, davvero all’opposto della moda corrente, scopre nuovi tasselli utili per far capire, forse anche ai negazionisti, cosa fu la crudeltà nazista che ha marchiato non soltanto il Novecento. Scrisse anni fa Norberto Bobbio che i campi di annientamento furono «non uno degli eventi, ma l’evento mostruoso, forse irripetibile della storia umana».

Chi fu l’italiano della Schindler’s List, la vicenda nota per il film di Steven Spielberg del 1993 che dà il titolo al libro? Fu Schulim Vogelmann, maestro tipografo, ebreo polacco divenuto italiano, deportato da Milano – dal binario 21 – ad Auschwitz.
Ansaldo ha trovato il suo nome sotto la scritta «Ju.Ital.» su una carta coi bordi strappati, la lista di Schindler. È l’unico italiano dei 1117 salvati dall’industriale nazista tedesco. Nessuno l’aveva mai scoperto. Il giornalista ha fatto numerosi riscontri, ha parlato con il figlio Daniel, direttore e anima della Giuntina, la casa editrice di Firenze specializzata nel pubblicare opere della cultura ebraica. Per la sua abilità di tipografo, Schulim Vogelmann divenne uno dei «falsari» dell’Operazione Bernhard, inventata dai nazisti per mettere in ginocchio l’economia britannica immettendo sul mercato inglese una grande quantità di sterline false, 133 milioni, sembra. Il piano non andò in porto. Vogelmann riuscì a entrare nella famosa lista e si salvò, forse anche per la sua conoscenza delle lingue. Tornò, divenne editore, morì nel 1974.

Ansaldo ha trovato anche le schede di Primo Levi, alcune decine conservate in uno degli alti scaffali dell’archivio, «scarne, quasi asettiche, riempite molto seccamente dei soli dati anagrafici»: dall’arresto a Champoluc nel dicembre 1943 ad Auschwitz, numero di matricola 174517. («A distanza di quarant’anni, il mio tatuaggio è diventato parte del mio corpo», scrisse nel suo I sommersi e i
salvati ).

Anche per Primo Levi la conoscenza della lingua fu essenziale per la salvezza, come la salute e l’aiuto di un muratore di Fossano, «un santo che trovava ovvio aiutare chi soffriva», oltre al lavoro nel laboratorio chimico che gli diede qualche privilegio.

Il libro è di grande interesse, persino romanzesco, un romanzo nero. Ansaldo incontra nelle carte e anche nella vita una catena di personaggi non comuni, i pochi sopravvissuti. Boris Pahor, lo scrittore sloveno, si stupisce quando il giornalista gli fa vedere a Trieste la sua scheda. I nazisti annotarono tutto di lui, come reagiva agli interrogatori, ma anche notizie sugli occhiali che portava, sull’udito, sulla dentatura disegnata con precisione: un ponte e una corona.

Imre Kerstész, poi, Premio Nobel per la letteratura nel 2002. I nazisti, nel suo caso, non furono diligenti come al solito. Lo diedero infatti per morto a Buchenwald il 18 febbraio 1945. È arrabbiato, Kertész, deportato ragazzo, per il «kitsch dell’Olocausto» che sente intorno a sé. «Non si ha il coraggio – dice ad Ansaldo – di chiamare quel che è avvenuto col suo vero nome, la distruzione
degli ebrei in Europa».

Edith Bruck, la scrittrice deportata tredicenne da un povero villaggio ungherese, ha mantenuto, con amara intelligenza, la promessa di «parlare per loro», i morti.

Ansaldo non si è mai stancato di cercare nello sterminato archivio. Ha trovato, tra i tanti, lo smilzo dossier di Irène Némirovsky morta ad Auschwitz. Jüdin, giudea, la condanna un documento. Nascosta in Francia, l’autrice di Suite francese, al momento dell’arresto riesce a scrivere il suo ultimo biglietto: «Giovedì mattina. Mio amato, mie piccole adorate. Credo che partiremo oggi. Coraggio e speranza. Siete nel mio cuore, miei diletti. Che Dio ci aiuti tutti». Ha quarant’anni, è una donna minuta e gentile. Muore di tifo un mese dopo
l’arresto, il 19 agosto 1942, «alle ore 15.20». Il marito muore nelle camere a gas il 6 novembre.

Dietrich Bonhoeffer, il grande teologo che cospirò contro Hitler, fu impiccato; Mafalda di Savoia, la figlia del re Vittorio Emanuele III morì nel bordello di Buchenwald, ferita in un bombardamento, operata dolosamente in ritardo tra atroci sofferenze; Wilhelm Canaris, il potente capo dei servizi segreti di Hitler coinvolto nell’attentato del 20 luglio 1944, fu strangolato con una corda di pianoforte a Flossenbürg.

Anna Frank, infine, tra i molti altri degni di memoria. Il documento è gelido come i carcerieri della ragazzina: «Frank, Annelies Marie Sara. Nata il 12 giugno a Francoforte. Residente ad Amsterdam, in piazza Mervede 37, II piano. Nubile…».

Due segni dalla forma di croce uncinata, incisi a penna in cima e in fondo al foglio, bollano, l’8 agosto 1944, il documento d’internamento di Anna che con il suo diario ha fatto piangere di commozione e di orrore il mondo.

http://www.marcoansaldo.com

 

 

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